NOTE BIOGRAFICHE
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Il 6 settembre 1925 nasce a Daimiel (Spagna), Consuelo Utrilla Lozano, dai coniugi Nemesio Utrilla e Sofia Lozano: lui Capitano del Genio, forte e coraggioso, lei dolce e umile e profondamente cristiana. Consuelito, così affettuosamente chiamata dai familiari, ancora bambina rimase orfana della madre (morta poco dopo la nascita della secondogenita a soli 26 anni). Tale perdita le causò un dolore lacerante e una malinconia costante, che solo la presenza materna della Vergine Maria, verso la quale sviluppò un amore specialissimo, poté rimediare. A seguito della prematura morte della moglie, Nemesio, affidò Consuelo ai nonni materni, poiché egli a causa della sua carriera militare era spesso assente da casa, mentre affidò la piccola Sofia, la sorellina appena nata, alle cure dei nonni paterni.
Consuelito era una bambina allegra, generosa, un po’ capricciosetta, probabilmente a causa delle troppe attenzioni che riceveva dai nonni e dagli zii, i quali cercavano di lenire il dolore dato dall’assenza della madre. Tra i cuginetti era il capo: comandare le veniva piuttosto naturale e sapeva fra l’altro farsi ascoltare. Sebbene avesse questo bel caratterino, era una bambina buona, dalla grande sensibilità verso le cose dello spirito e nonostante la giovane età nutriva un profondo e sincero desiderio di Dio. Quando le suore della Divina Pastora, istituto nel quale fu educata, si resero conto di quella predisposizione chiesero a un padre gesuita, P. Marcial di seguirla più da vicino nel suo cammino di fede. Con l’aiuto del padre Marcial, la piccola Consuelito poté approfondire la sua conoscenza di Dio. Una volta che con le altre bambine dell’istituto si trovava in cortile, il padre gesuita la invitò a raggiungere le amiche che stavano ballando, ma lei rispose lapidaria: “Lasci che ballino, lei mi parli di Dio”.
Crescendo la sua vita interiore si fece ancora più intensa e la rese esigente verso se stessa, anelando la crescita nelle virtù, faceva guerra alle sue cattive inclinazioni, al suo temperamento collerico, alla ricerca dell’agio e del piacevole. Maturò rapidamente diventando sempre più responsabile e sacrificata: aiutava le domestiche della casa, non volendo essere servita e sceglieva per sé i lavori più faticosi e umili. Nonostante la propria condizione sociale le imponesse di presenziare a balli e feste e riscuotesse un certo successo tra i ragazzi, ben presto nel suo cuore ci fu spazio solo per Gesù. Guidata spiritualmente dalle Monache Minime della sua città, celermente scoprì in sé il germe della vocazione. Su richiesta del papà, molto malato e solo attese prima di entrare in monastero. Quando Nemesio nell’ottobre del 1946 morì, Consuelo si vide libera di poter realizzare il suo desiderio, ma per un anno dovette ancora aspettare per sistemare tutti gli affari di famiglia. Fu un anno molto difficile, pieno di aridità, di tristezza e tentazioni, ma passò! Ad un suo pretendente, che le chiedeva di pensare bene a ciò che stava per fare, rispose lapidaria: “Sono decisa”. L’8 ottobre 1947 entrò in monastero, raggiante di gioia vestita degli abiti migliori, con tanto di tacchi e gioielli che appena varcata la porta del monastero tolse con soddisfazione.
Aderì al progetto del Signore, con l’entusiasmo, la radicalità e la generosità tipica della gioventù. Fu un cammino progressivo di rinuncia il suo, prima al mondo e poi una volta in monastero alla propria volontà, per accogliere pienamente quella di Dio. Per arrivare a questo livello di negazione di se stessa non si risparmiò, imparando a smussare il suo carattere energico, a dominare la sua irruenza, sino a desiderare che solo Dio fosse il padrone assoluto della sua vita. Non divenne santa in un momento, il suo cammino fu rapido, questo sì, ma faticoso e graduale. Innamorata di Maria Santissima, con la professione aveva preso il nome di suor Consuelo del Cuore Immacolato di Maria che fu suo riparo, suo conforto, suo riposo. Presto per le consorelle suor Consuelo fu semplicemente suor Corazón. Aveva inventato molte giaculatorie che durante il giorno ripeteva continuamente, con le quali si rivolgeva alla Vergine Maria, ma ce n’era uno che in particolare ripeteva: Maria io tuissima, tu miissima.
Passo dopo passo, la sua scalata alla santità arrivò all’apice. L’ultimo gradino del suo percorso fu lo spogliamento di sé per rivestirsi pienamente di Cristo Crocifisso mediante l’offerta della vita. Per le mani della Vergine Maria, si donò come ostia sorridente al suo Signore, e l’offerta fu accolta! Le fu diagnosticato un carcinoma proprio poco dopo la sua offerta vittimale. Nelle sue sofferenze atroci non smise mai di sorridere, e questo le fu possibile perché era stata capace di sorridere sempre nelle quotidiane difficoltà e tristezze. Alla consorella infermiera, che nell’ultimo stadio della sua malattia la accudiva, aveva chiesto di ripeterle, nel momento in cui fosse iniziata la sua agonia, la giaculatoria a Maria che aveva inventato e che amava dire. Così, quando la sua vita si spense il 9 dicembre dell’anno 1956, chiuse gli occhi sentendo quelle dolci parole: “Maria io tuissima tu miissima” e sulla bocca le rimase un sorriso così meraviglioso che parve alle consorelle e a tutti coloro che onorarono la salma, fosse semplicemente addormentata.