Consigli per vivere la Quaresima
in profondità
Fonte: www.religionenlibertad.com
Mons. José Ignacio Munilla, nell’attualità vescovo di Orihuela-Alicante, aveva pubblicato, quando era nella sua anteriore sede di San Sebastián, una lettera quaresimale riflettendo su questo tempo liturgico e offrendo al suo popolo dei consigli per viverlo cristianamente. In essa, il Prelato metteva in guardia dal vivere giorno dopo giorno come se Dio non esistesse, quando in realtà il Signore agisce in modo concreto nella vita delle persone. Vi offriamo a continuazione le sue riflessioni e i suoi consigli per approfittare bene la Quaresima:
Nel mese di gennaio stavo facendo i miei esercizi spirituali annuali, quando un’espressione che ci diresse il predicatore mi arrivò all’anima in un modo speciale: «Dio esiste e non sei tu; rilassati!»… Forse quelle incisive parole possono aiutare tutti ad accogliere la chiamata alla conversione che Gesù di Nazareth compì al principio della sua vita pubblica, e che la Chiesa ripete all’inizio della Quaresima: «Convertitevi e credete al Vangelo».
Siamo di fronte ad un invito a riscoprire Dio come il senso ultimo di quanto esiste e accade. Non si tratta di credere in Dio nel modo di una convinzione teoretica, ma di comprendere che l’esistenza di Dio fonda il senso della totalità della vita. Il caso del beato Carlo de Foucauld (S. XIX-XX) è significativo per intendere ciò che voglio esprimere. In un primo momento, lui vive di spalle a Dio; posteriormente comincia a pregare dicendo: «Dio mio, se esisti, fa che io ti conosca»; per terminare concludendo: «Da quando mi accorsi che Dio esiste, la mia vita non ha più senso senza di Lui».
È importante tenere in conto che, oltre all’‘ateismo teorico’, che nega l’esistenza di Dio, esiste anche un “ateismo pratico”, proprio di chi vive la vita senza alcuna coerenza con la fede che professa; cioè, come se Dio non esistesse. Questi atei pratici non si sono resi conto del fatto che, dato che Dio esiste ed è il creatore ed il signore di tutte le cose, è presente e attua nel mondo, nella nostra vita, nelle loro vite… In realtà, la frontiera tre la credenza e la non credenza non è astratta, ma esistenziale. Ciò che è determinante non è credere che Dio esiste, ma che io esisto per Dio, e che sono suo figlio amato, per Lui non rimpiazzabile.
Occorre che l’assenza di fede in Dio (sia nella forma di ateismo teorico o pratico) genera una grande stanchezza. È un fatto che l’uomo moderno si sente molto stanco, incluso stremato (sebbene in realtà non sia una stanchezza proporzionale al suo lavoro). Esiste una stanchezza esistenziale, che è la conseguenza di non aver trovato senso alla vita. È ciò che i classici designavano come la “accidia”. È stremante pretendere di essere dei! È estenuante pretendere di avere il controllo ultimo sulla nostra vita, dimenticando l’esistenza di una provvidenza che ci protegge e ci conduce. La mancanza di un senso ultimo della vita si traduce in una disperazione stremante, provocata dalla mancanza di unità interiore. Forse è per questo, che Gesù ci fece quell’indimenticabile invito nel Vangelo: «Venite a me voi che siete stanchi e oppressi, e io vi ristorerò» (Mt 11, 28).
Si tratta di rendersi conto che solo Dio è Dio, e che noi non lo siamo. E se noi non siamo Dio, il resto delle cose per le quali tanto ci preoccupiamo tantomeno lo sono. Una grandissima parte delle nostre sofferenze, preoccupazioni e oppressioni nascono dall’aver posto il nostro ego al centro dell’universo. La fiducia in Dio è fonte di pace, mentre la sfiducia è stressante.
Dunque, arrivati a questo punto, possiamo concludere che nella chiamata di Cristo alla conversione si coniugano, come una sola, duo inviti: adorazione a abnegazione; cioè, porre Dio al centro, e relativizzare noi stessi. Come dice Éloi Leclerc: «Se apprendessimo ad adorare, attraverseremmo la vita con la tranquillità dei grandi fiumi».
Ebbene, l’adorazione non consiste solamente nell’accorrere ad una cappella di adorazione perpetua, ma nel prendere sul serio l’abnegazione interiore che si richiede perché Dio sia realmente il centro della nostra vita. Abnegarsi non è altra cosa che accantonare il nostro amor proprio e educare la nostra sensibilità alla santa indifferenza ignaziana.
Mi permetto di concludere questa Lettera quaresimale con una proposta pratica sul come esercitarci in questa purificazione interiore, tanto intimamente legata alla adorazione. La tradizione cristiana ha proposto all’inizio della Quaresima la triade: preghiera, digiuno e elemosina. L’abnegazione più gradita a Dio sarà senza dubbio quella che più ci aiuti a essere liberi per l’adorazione e l’esercizio della carità.
Orbene, non sarebbe, forse, specialmente adeguata a questa Quaresima la abnegazione riferita al buon uso della tecnologia? Quante persone soffrono al sentirsi imprigionate dalla dipendenza dal gioco online, delle case di scommesse, dalla pornografia su Internet, o dal semplice uso compulsivo dei telefonini, sino ad alterare gravemente le proprie relazioni personali? Abbiamo bisogno di recuperare la nostra libertà per poter adorare Dio e per poter servire il prossimo.
È un fatto che le nuove tecnologie della comunicazione son un buon servo, però un cattivissimo signore. La ferita narcisista che portiamo dentro di noi è fatta esplodere in forma crudele dalle dipendenze tecnologiche, facendo di noi uno schiavo postmoderno facilmente manipolabile. Non invano, la dittatura più consolidata è quella che consegue che gli schiavi sentano piacere ad esserlo.
Però torniamo alla tesi di partenza: la Quaresima è un’opportunità eccellente per riscoprire la chiamata che ci fa Gesù Cristo: «Convertitevi e credete al Vangelo»; cioè, «Dio esiste e non sono io». Siamo chiamati a vivere nella fiducia in Dio («rilassati!»), però non al modo narcotizzante della Nuova Era, ma fondati nella triade quaresimale: adorazione, abnegazione ed esercizio di misericordia.