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Peregrinatio della reliquia del beato Livatino

La reliquia di Livatino al Monastero

“Ci sono stati uomini che sono morti giovani ma consapevoli che le loro idee sarebbero rimaste nei secoli, come parole iperbole, intatte e reali, come piccoli miracoli. Idee di uguaglianza e di educazione contro ogni uomo che esercita oppressione, contro ogni suo simile, contro chi è più debole, contro chi sotterra la coscienza nel cemento. Pensa, prima di sparare, pensa prima di dire, di giudicare, pensa che puoi decidere tu, resta un attimo soltanto, un attimo di più con la testa fra le mani”.

Le parole di questa canzone, di qualche anno fa, sono tornate alla mente di una delle più giovani della comunità alla vista della camicia insanguinata del beato Rosario Livatino. Le emozioni sono state forti, quando la reliquia del martire Livatino, ucciso in odio alla fede dalla “stidda” di Agrigento, il 21 settembre  1990, sono entrate nella nostra cappella. Pur avendo atteso l’ arrivo di quella camicia intrisa di sangue, indossata dal magistrato il giorno della sua uccisione, ci siamo sentite piene di commozione quando, giorno 10 aprile, ha fatto ingresso tra di noi, prima nella chiesa, poi nell’ intimità della clausura, ove abbiamo venerato la reliquia e pregato intensamente affinché non ci siano più morti a causa della mafia né di nessun’altra realtà malavitosa.

Reliquario Livatino davanti all'altare

La peregrinatio della reliquia qui a Paola ha avuto come tappa proprio il nostro monastero, prima di giungere al Santuario. A fine mattinata la reliquia è giunta in Cappella ove l’abbiamo accolta sulle note di un canto gregoriano le cui parole sono tratte dal Sermone della Montagna: “Beati gli operatori di pace, beati i puri di cuore perché vedranno Dio”. All’atto privato è seguito alle 15,30 un momento di preghiera con i fedeli che si sono voluti unire a noi per la recita del rosario e dell’ora media.

Reliquario Livatino

Il reliquiario nel quale è custodita la camicia è di per sé una vera catechesi: quattro palme, simbolo del martirio, formano la teca  ove è posto l’indumento, essa è disposta sopra due libri d’argento il primo rappresenta il codice penale, il secondo il Vangelo, a significare che  tutta l’attività del giudice è stata sempre fondata sulla fede e l’insegnamento di Cristo Gesù. Una scritta troneggia sulla reliquia, è la sigla S.T.D. che significa sub tutela dei. Questa sigla ,che si trova in tutte le agende del beato Livatino, risultò in un primo momento incomprensibile a quanti , indagando sulla sua morte, ebbero tra le mani i suddetti testi. Finalmente, dopo aver pensato che si trattasse di un codice con il quale il magistrato volesse indicare il nome di una persona sulla quale stesse investigando, si è giunti a capire che, per l’appunto, quella sigla era un atto di affidamento a Dio.

Il magistrato, uomo di fede, poneva se stesso e il suo lavoro sempre sotto la tutela del suo Signore. La fede del beato Livatino, non era una fede ostentata, ma una fede testimoniata nell’ordinarietà della vita, nell’applicazione seria al proprio dovere, nell’ onestà che non si può barattare.

Il racconto del suo martirio, ci ha portate a ripensare alle parole del profeta Malachia: “Popolo mio, che male ti ho fatto?” Infatti, prima di essere ucciso, il magistrato ha chiesto ai suoi carnefici: “Picciotti, che cosa vi ho fatto?” Ancora una volta, il giusto muore ma il suo sacrificio non è vano, se si pensa che due dei suoi assassini si sono pentiti e hanno chiesto perdono, e se si considera che molti giovani in questi anni nel conoscere la sua testimonianza di fede si sono sentiti mossi a un riavvicinamento a Dio, l’unico capace di dare la forza per affrontare la persecuzione e persino la morte in nome della giustizia. Inoltre, la storia del beato Livatino richiama tutti i cittadini ha una maggiore consapevolezza dell’impegno personale e comunitario a combattere ogni forma di ingiustizia, che purtroppo ancora oggi attanaglia il nostro Paese.

Come Monache di clausura ci sentiamo chiamate ad offrire la nostra vita di preghiera e sacrificio, affinché il Signore rafforzi l’animo di quanti, per mestiere o per le circostanze della vita, devono affrontare e combattere la malavita, ma anche per la conversione di coloro che vivendo nel male non possono sperimentare la bellezza della vita vera. Ringraziamo il Signore per l’opportunità avuta in questo giorno, ringraziamo quanti si impegnano a far conoscere la figura del “giudice ragazzino” che ci auguriamo possa presto dichiarato santo.

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