Nella Radicalità della Vita Claustrale
In sintesi possiamo dire che la professione di vita claustrale significa proprio questo: inserirsi profondamente nel mistero pasquale di Cristo, vivere in modo tutto particolare il suo annientamento, “morire” con lui e per Lui associando la nostra offerta a la sua offerta al Padre, per vivere in avanti soltanto di Lui, una vita “nascosta con Cristo in Dio”, anticipo della vita risorta in quanto possibile nella nostra dimensione spazio-temporale. La vita di clausura è in gran maniera feconda per la Chiesa, ma con una fecondità misteriosa che non si può vedere. Va paragonata alla efficacia del sacramento eucaristico, dove, dopo il sacrificio, la presenza di Gesù (ormai risorto) è immensamente feconda per la Chiesa benché Egli non compie più nessuna azione diretta. Così, dopo la nostra consacrazione, unita al Sacrificio di Cristo dalla Chiesa, la nostra presenza nel popolo di Dio è misteriosa, non si vede, ma profondamente efficace, proprio perché ha preceduto il sacrificio della vita tutt’intera.
Infatti, non c’è amore più grande di quello di donare la vita… Per ciò “morire” a tutto allo scopo di vivere soltanto per amare “nascosta con Cristo in Dio”, è il massimo contributo che possiamo offrire per aiutare i fratelli e avvicinare loro alla salvezza. Da un’altra parte, occorre dire che la vita di clausura si giustifica per se stessa. Cioè: amare Cristo e con Lui e per Lui lodare e glorificare il Padre, è una finalità sufficientemente nobile e grande per riempire di significato tutta la vita. O non merita Dio che una sua creatura dedichi a Lui tutto il suo tempo, le sue forze e le sue capacità? Così, la contemplativa si sente chiamata a incarnare nella propria esistenza la dimensione più profonda e più intima della Chiesa, che è la sua alleanza sponsale con Cristo. Significa abbandonarsi, come Maria, all’azione dello Spirito di Dio, senza nessun calcolo e nessuna pretesa di controllare quello che lo Spirito vorrà attuare in noi.